Recensione
The Exorcism of Emily Rose: nuove sfide per gli esorcisti del terzo millennio
Con “The Exorcism of Emily Rose” (2005) il regista Scott Derrickson, in stretta collaborazione con lo sceneggiatore Paul Harris Boardman, riuscì in un’impresa che sembrava impossibile dall’inverno del ’73: dare nuova linfa al sottogenere horror degli esorcismi. Più specificamente, al sottogenere delle possessioni operate da singoli demoni ai danni di singoli individui. Se da una parte può sembrare che si tratti di una nicchia cinematografica molto specifica, non bisogna dimenticare l’enorme impatto che “L’esorcista” (W. Friedkin, 1973) ebbe sulla cultura popolare del suo tempo, e l’abbondante schiera di copie malriuscite che gli fece seguito negli anni.
Nel 2005, questa caratteristica parte del mondo dell’horror, altamente codificata e fortemente differenziata da altre pur contigue come quella delle possessioni operate da numerose entità demoniache (si veda la nostra recensione de “La casa”, del 1981), riuscì finalmente a scrollarsi di dosso decenni di deflazione artistica grazie al più improbabile degli alleati: il dramma legale.
Spirito e tempo all’epoca di Bush
Quando George W. Bush e il suo vice Dick “Damien Thorn” Cheney (interpretato magistralmente di recente da Christian Bale) salgono al potere negli Stati Uniti dopo le elezioni del 2000, l’ambiguo sogno clintoniano lascia il posto a un periodo di forte crisi per l’immagine dell’America nel mondo. Terrorismo, guerre (invasioni?), omofobia, capitalismo sfrenato nel segno dei Bush Tax Cuts sono la versione più appariscente degli Anni Zero.
In questo contesto di fanatismi imbrigliati, con un presidente texano che vanta la Bibbia sopra la Costituzione, le questioni teologiche cominciano di nuovo ad assumere quella profondità politica che un certo modo di fare cinema negli Anni Novanta sembrava avere dimenticato. È in questo periodo che fioriscono alcuni capolavori della riflessione religiosa di inizio secolo, come “La Passione di Cristo” (Mel Gibson, 2004) e, soprattutto, “Frailty – Nessuno è al sicuro” (Bill Paxton, 2001). Il film, il cui titolo esprime perfettamente lo spirito dell’America di quegli anni, proietta per la prima volta il tema della missione divina contro lo sfondo dell’amministrazione giudiziaria nell’entroterra rurale degli States. La domanda con la quale veniamo lasciati è molto semplice: la vittoria di Dio, alla quale indubbiamente assistiamo nei 100 minuti della pellicola, è davvero una buona notizia? La “nuova venuta di Cristo”, infatti, è presentata come un evento tragico, ai confini della psicosi collettiva, e la giustizia umana fatta di “possibilità” è schiacciata sotto il peso dell’idolatria dei “fatti”, presunte verità ultraterrene che rompono la maglia della logica quotidiana.
Fatti e possibilità
Lo stesso tema è sviscerato nel corso del difficile processo per la morte di Emily Rose, ispirato a quello realmente tenutosi verso la fine degli Anni Settanta in Germania a seguito del decesso di Anneliese Michel. L’avvocata Erin Bruner, scettica rispetto alla spiegazione fornita dal suo cliente, Padre Moore, incaricato dell’esorcismo della giovane, comincia lentamente a vacillare nelle sue certezze man mano che l’evidenza del Male si dispiega nella vicenda. E questo, tra gli improvvisi risvegli notturni e le visioni inquietanti in solitudine, la porta alla formulazione di una domanda fondamentale: cosa sono i fatti? Che statuto conoscitivo possono (e debbono) avere le prove addotte dall’accusa ai danni del prete, che avrebbe mancato di curare la povera Emily? La presunta evidenza scientifica può esercitare la propria auspicata valenza epistemologica se, semplicemente, è rifiutata nel nome di una forma di conoscenza diversa? In questo senso, le parole del pubblico ministero che, come voce del senso comune, obietta alle argomentazioni di Erin (“Obiezione, Vostro Onore!” – “Su che basi?” – “Che ne dice di… idiozia?”), suonano particolarmente identificative di un conflitto che travalica i limiti della religione, e si spinge fino a mettere in dubbio l’idea stessa di verità. Così, l’arringa finale della difesa, in un discorso dai molteplici piani interpretativi, svolta nettamente la pagina parlando di “possibilità”: un campo indefinito di realtà simultanee e alternative, cifra della nostra esistenza. La religione tradizionale serve così come rivolta contro il dogma neo-positivistico del dato.
The Exorcism of Emily Rose: una visione consigliata
Più ci si avvicina alla contemporaneità, più risulta difficile condividere giudizi sui meriti di un’opera. È normale, e vale da sempre per tutte le arti. Di certo, con la recente ondata di “horror d’arte” che negli Anni Dieci hanno rinnovato la sensibilità del pubblico verso il genere, la questione ha assunto caratteri nuovi. C’è chi ha parlato di una “gentrificazione” del genere, chi di una sua “elevazione”… dimostrando in entrambi i casi quanto inadeguata sia la critica a trattare le faccende artistiche dal punto di vista di chi le opera da dentro.
Sicuramente, “The Exorcism of Emily Rose” è lontano dalle nuove tendenze degli ultimi anni, e in quanto tale rappresenta un fulgido esempio di quanto ancora abbia da dirci il genere, pur dall’interno delle sue regole codificate. Riunendo J-horror, legal horror e esorcismi, la tanto criticata pellicola di Derrickson merita di essere riscoperta.
Lorenzo Maselli
Trama
- Regia: Scott Derrickson
- Cast: Laura Linney, Tom Wilkinson, Campbell Scott, Jennifer Carpenter, Colm Feore, Joshua Close, Kenneth Welsh, Duncan Fraser, Jr Bourne, Mary Beth Hurt, Henry Czerny
- Genere: Horror, colore
- Durata: 119 minuti
- Produzione: USA, 2005
- Data di uscita: 7 ottobre 2005
“The Exorcism of Emily Rose” è un film horror del 2005 diretto da Scott Derrickson, che segna il debutto cinematografico di Jennifer Carpenter nel genere. Nel cast tra gli interpreti principali figurano Laura Linney e Tom Wilkinson.
The Exorcism of Emily Rose: la trama
Una giovane, Emily Rose (Jennifer Carpenter), si trasferisce all’università e comincia a soffrire di disturbi forse rubricabili come epilessia, psicosi, o come un incrocio dei due fattori. Quando i genitori, disperati dinnanzi all’incapacità dei medici di risolvere la questione, si affidano alle cure di Padre Moore (Tom Wilkinson), questi decide di tentare la via dell’esorcismo. La giovane, tuttavia, non sopravvivrà alle privazioni e alle fatiche del rituale. Il film comincia in questo momento, e prende davvero il via quando la difesa di Moore, accusato di omicidio colposo, viene affidata alla giovane e ambiziosa avvocata Erin Bruner (Laura Linney). Costei, da agnostica, stabilisce un intenso legame professionale con il prete, fino al punto di mettere in crisi tutte le sue certezze per poterlo difendere in tribunale. Così, le vicende giudiziarie si intrecciano agli aspetti più nascosti della storia di Emily, sviluppando una narrazione che si interroga costantemente sul proprio statuto di “storia vera”.