Nel 1976 il sociologo Marshall McLuhan pubblicò un testo intitolato “Il medium è il messaggio” e distinse i media tra caldi e freddi, in base all’alta o bassa partecipazione dell’utente. Inutile dire che l’oggetto della discussione era la televisione che, come mezzo di informazione, stava soppiantando la radio. Negli anni a venire raccolsero il testimone prima il suo delfino Derrick de Kerckhove e in seguito il professor Nicholas Negroponte del Mit, autore nel 1995 del libro “Essere digitali”. Da allora sembra passato un secolo a oggi, era dei Social Network e degli smartphone. Di tutto questo parla il docudramma “The Social Dilemma” di Jeff Orlowski disponibile sulla piattaforma digitale Netflix. Si tratta di un atto di denuncia sui rischi psicologici che comporta l’uso massiccio dei social.
“The Social Dilemma” un docufilm per capire e decodificare il presente
C’è il meglio della Silicon Valley in “The Social Dilemma”, da Tristan Harris di Google, Tim Kendall di Facebook e Pinterest, Shoshana Zuboff autrice de “Il capitalismo della sorveglianza” a tutti i giovani geni del business del digitale. Tutti, nessun escluso concordano sui pericoli dei social soprattutto tra i giovanissimi.
Nel panel spicca poi Jaron Lanier, inventore della realtà virtuale, autore del best seller “10 ragioni per cancellarti dai Social Network”, e innamorato della tecnologia ma deluso dalla direzione che essa ha preso.
Gli interventi degli “addetti ai lavori” sono inframmezzati da una microstoria con una famiglia americana tipo con due figli, Ben (Skyler Gisondo), e Isla (Sophia Hammons), ossessionati dai loro cellulari e dai “mi piace” raggiunti. Diciamolo, l’idea c’è in questo documentario e funziona ma qualche nota stonata non manca.
Tutti gli esperti, Harris e Lanier in primis spiegano perfettamente l’importanza dell’onnipotente algoritmo che ci condiziona in ogni scelta dal semplice video su YouTube alla scelta del politico di turno da votare. Eppure, gli interventi si limitano a dire cose che sono note a tutti senza rischiare nulla evidentemente. Siamo molto lontani dai toni usati da “Snowden” nel film di Oliver Stone del 2016. Lui, il regista di denuncia hollywoodiano, partì da una figura iconica che ha pagato molto caro il suo coraggio.
Un film di denuncia ben fatto che passa proprio su una piattaforma che vive di algoritmi
C’è qualche buono spunto creativo in “The Social Dilemma”, tipo la ripresa del bancone di “Inside Out” davanti alle vicende del povero Ben trasformato in marionetta/zombie con lieto fine. Ma è pur vero che la serie tv “Black Mirror” e il film “Matrix” sono state capaci di hype migliori. Nel primo caso basti pensare all’episodio “Caduta libera” della terza stagione con una protagonista che perde tutti i suoi privilegi guadagnati dalla popolarità sui social ed è, paradossalmente, felice per questo.
Non aiuta neanche il canale di “The Social Dilemma” che usa lui stesso gli algoritmi per identificare i propri utenti visto il messaggio che si vuole veicolare. In buona sostanza il documentario di Orlowski arriva piuttosto tardi per trattare un tema già ampiamente dibattuto tra gli addetti ai lavori.
Resta, tuttavia, un buon prodotto d’intrattenimento intelligente probabilmente per i più giovani. In questo discorso s’inserisce il problema della pandemia in atto che ha costretto tutti noi a passare le nostre giornate attaccati a un terminale elettronico e spesso alla stessa Netflix, un vero e proprio cortocircuito dal punto di vista comunicativo.
Stefano Mazzola
07/12/2020