Recensione
Triple Frontier – Recensione: due film in uno
Il Triple Frontier (triplo confine) che dà il nome al film è quello tra Brasile, Paraguay e Argentina, scenario dell’azione. È in questa terra di nessuno che, grazie alla soffiata di un’informatrice, cinque ex membri delle forze speciali decidono di mettere in atto una rapina ai danni di un ricco narcotrafficante. Le conseguenze di questa loro scelta però andranno oltre ogni loro previsione.
A fronte di un plot semplice, derubare un boss della droga per dividersi il ricavato, il film decide di concentrarsi non tanto sull’azione, comunque presente e sempre ben girata (molte scene ricordano il recente “Soldado” diretto dal nostro Stefano Sollima), ma sugli effetti che questa scelta avrà sulle vite dei protagonisti. Il loro rapporto col denaro, che dovranno proteggere a tutti i costi, e il cameratismo che contraddistingue il gruppo sono infatti il vero fulcro dell’attenzione del regista.
Dopo un inizio decisamente più action, dedicato al reclutamento della squadra prima e all’operazione vera e propria poi, la pellicola cambia radicalmente di tono quando i nostri si troveranno in fuga col bottino. La capacità di Chandor di creare tensione più dai rapporti interpersonali che dalla concitazione dell’avventura è qui messa in grande risalto; questi uomini infatti, rimasti soli in una foresta verde come i soldi dai quali sono tanto ossessionati, verranno infine messi a confronto con se stessi. Un’idea di cinema che, pur trovando le sue radici stilistiche nei film a tema militare tipici degli anni ’80, decide di smarcasi rapidamente da certi ideali per concentrarsi più sul lato umano dei protagonisti.
Triple Frontier: un percorso travagliato
Quarto lungometraggio di J.C.Chandor, ” Triple Frontier” doveva inizialmente essere diretto da Kathryn Bigelow, rimasta infine legata all’operazione solo come produttrice esecutiva. Il suo marchio di fabbrica resta comunque ben presente, grazie anche alla sceneggiatura del suo fidato collaboratore, Mark Boal, che aveva già scritto per lei “Detroit“, “Zero Dark Thirty” e “The Hurt Locker“.
La pellicola sfoggia un cast di grandi nomi, con un Ben Affleck che gioca sulla sottrazione grazie a un interpretazione accurata e minimalista che ben si sposa col suo personaggio. Oscar Isaac, che aveva già collaborato col regista nel suo film precedente “1981: Indagine a New York “, è un po’ fuori parte nel ruolo del ex militare, ma riesce comunque a mostrare come sempre tutte le sue qualità. Al loro fianco troviamo Garrett Hedlund, Charlie Hunnam e Pedro Pascal. Saranno inaspettatamente questi ultimi due a dare al film quel tocco di umanità necessario all’operazione (militare e cinematografica) per definirsi ben riuscita.
La colonna sonora è affidata a Disasterpeace, giovane musicista americano che aveva già curato le musiche per “It Follows“, fortunato horror del 2015. Oltre alle sue composizioni, massiccio è l’uso di classici della musica rock, con i Metallica ad aprire e chiudere la pellicola.
Un film, al netto di qualche sviluppo di trama non sempre lineare, sicuramente da promuovere per la sua gestione dei personaggi e delle loro dinamiche, con una buona visione autoriale (la sceneggiatura è stata rimaneggiata dallo stesso regista) e un ottimo occhio per le scenografie naturali nelle quali si svolge la vicenda.
Federico Renis