True Detective 3: Memory is a flat circle
Dopo le torbide paludi della Louisiana, teatro delle (dis)avventure degli indimenticati Rust e Marty, in questa terza stagione di “True Detective”, Nic Pizzolatto, creatore della serie per la HBO, ci accompagna nella pantano dei ricordi di Wayne “Purple” Hays (un Mahershala Ali recentemente vincitore di un Oscar come “Miglior Attore non Protagonista per “Green Book”) , ricognitore veterano del Vietnam, detective e autentico narratore unico della vicenda.
Con l’arduo compito di redimersi da una seconda stagione non particolarmente riuscita, la serie torna alle sue basi. Il rapporto tra due detective, Hays e Roland West (interpretato da un ottimo Stephen Dorff), coi loro confronti e i loro viaggi in macchina e un caso, quello della scomparsa dei due bambini, che segnerà per sempre la loro carriera e tutta la loro vita.
Tutto ha inizio negli anni ’80, quando i figli di Tom e Lucy Purcell, dopo essere stati visti allontanarsi con le loro biciclette verso il bosco, scompaiono misteriosamente nel nulla. L’indagine prenderà una piega inaspettata quando, solo qualche giorno dopo, verrà ritrovato il cadavere di un bambino, meticolosamente sdraiato con occhi chiusi e mani giunte. Della sorella però, nessuna traccia.
La ricerca della piccola, sviluppata su tre archi temporali e narrativi ben distinti ci mostra come questa indagine, chiusa prematuramente negli anni ’80 per essere poi riaperta 10 anni dopo, diventi una vera e propria ossessione per Hays fino ai giorni nostri, nel 2015.
Parlando del caso, Hays, lo definirà come il vero momento spartiacque della sua vita, un evento che avrà ripercussioni sia sulla sua realtà professionale che privata. Anche il rapporto con la moglie, inizialmente conosciuta durante le indagini in quanto maestra dei due bambini, prenderà una strana piega dopo la pubblicazione da parte di lei di un libro inchiesta sul caso, negli anni ’90 ancora irrisolto.
Fin dalla prima puntata il protagonista, ormai anziano, soffre di gravi disturbi della memoria e affida i suoi ricordi a delle registrazioni per non dimenticarsene. La veridicità del suo racconto viene dunque messa fin da subito in dubbio, insinuando nello spettatore il sospetto che quello che vediamo sia in realtà un racconto basato su ricordi non molto affidabili.
Successivamente, parlando con una troupe televisiva che lo intervista per un documentario sui casi irrisolti, Hays rivela come questo riaffacciarsi sul suo passato lo aiuti a focalizzare meglio cosa e come è successo, ricordandogli quindi chi era allora e chi è ora. Se dovessimo trovare un filo conduttore in questa stagione è proprio l’idea che la memoria è come un disco, che riascoltato più e più volte in diverse fasi della vita può rammentarci dove eravamo e come ci sentivamo, ma soprattutto chi eravamo.
True Detective 3: faccia a faccia con il passato
Molto interessante il confronto tra il giovane e solitario Hays nella giungla del Vietnam e la sua versione anziana, detective perso tra i suoi ricordi e i suoi vuoti di memoria.
Particolarmente meritevoli anche dal punto di vista stilistico sono tutte le scene oniriche che ci offrono uno spiraglio nella mente di quest’uomo in perenne ricerca ma ormai confuso dai suoi stessi pensieri.
L’escamotage narrativo delle tre linee temporali e questa visione più umana della vita, sono quello che più differenzia questa stagione dalle precedenti. Giocando molto sulle aspettative del pubblico, Pizzolatto scrive infatti una storia più piccola, intima e umana, mostrandoci tanto lo sviluppo dell’indagine quanto l’evoluzione del rapporto tra Hays e il suo socio; due uomini che oltre a essere veri detective sono anche detective veri, in quanto umani.
Simbolo vivente del desiderio degli spettatori di ritrovare un “True Detective” più simile nella struttura alla sua prima stagione è l’intervistatrice che, incalzando Hays con le sue domande, spera di trovare nelle sue risposte conferme su come il caso si inserisca in un quadro più ampio e riconoscibile, da lei e da noi. Ma non è questo il cuore del racconto stavolta.
Tecnicamente molto curato come tutti i prodotti HBO, questa terza stagione di “True Detective” può contare, oltre che sulla magistrale interpretazione di Mahershala Ali e di tutti i suoi comprimari in tutte e tre le fasi del racconto, su una colonna sonora potente e inquietante che dona ad alcune scene una sfumatura quasi orrorifica.
Pizzolatto, oltre ad essere autore di tutte le puntate si mette per la prima volta anche dietro la macchina da presa.
Un gradito ritorno quindi, ed un’ulteriore conferma della capacità di questo autore di creare storie appassionanti e ben congegnate, in attesa della quarta stagione già confermata dall’emittente.
Federico Renis