Recensione
Una madre, una figlia: donne che non si arrendono
“Una madre, una figlia” di Mahamat Saleh Haroun racconta con grande schiettezza il dramma di una madre. Il film è stato presentato in Selezione Ufficiale al Festival di Cannes del 2021 e al Torino Film Festival. Il film segue la storia di Amina, una giovane donna che vive in Ciad dove, da sola, tra mille difficoltà, si cura dell’unica figlia Maria. Scoprire che la ragazza è incinta e non sapere chi è l’uomo che ‘deve prendersi le sue responsabilità’, la getta in un grande sconforto. Il disagio aumenta quando la ragazza, in evidente stato di difficolta, è risoluta nel non voler portare avanti la gravidanza. In un paese dove l’aborto è condannato dalla religione e dalla legge, col dubbio che la gravidanza sia il frutto di un rapporto non voluto, Amina s’interroga sul da farsi.
Donne emarginate da una società cieca
Al di fuori da giudizi etici o morali, ciò che lascia esterrefatti è come da una parte s’impedisca alle donne una libera scelta, e dall’altra le madri single vengano escluse da ogni contesto sociale. Trattata come un’appestata Maria viene cacciata anche dalla scuola, che non vuole compromettere la propria reputazione. La sua scelta di non voler portare a compimento la gravidanza è dettata anche dal non voler passare tutta la vita ai margini di una società ipocrita che vieta l’aborto e poi penalizza queste madri.
Mahamat Saleh Haroun porta sullo schermo la vita reale
Mahamat Saleh Haroun dipinge con particolare attenzione una storia di donne, di amore materno e di solidarietà femminile. Il regista porta sullo schermo sofferenza e dolore, ma anche determinazione e voglia di guadagnarsi un posto nel mondo, da parte di donne cui viene negato tutto. Haroun è bravo nel mostrare quanto possa essere difficile la vita per le donne in Ciad. Attraverso un girato di particolare intensità e silenzi che mostrano più di mille parole, il cineasta ciadiano racconta il quotidiano di Amina. La donna si guadagna da vivere riciclando pneumatici per auto dai quali ricava del materiale con cui confeziona pentole che poi vende in giro per la città. Delle bravi attrici e una fotografia che sottolinea con forza gli stati d’animo completano il quadro di un racconto sofferto, dalla ‘mise en scène’ ed elegante.
Una madre, una figlia: la difficoltà di essere donne in Ciad
Come sempre nei paesi in cui l’aborto è vietato, proliferano strutture che a caro prezzo accolgono donne in difficoltà, oppure ci si rivolge a improvvisate ‘risolutrici’ domestiche. Inutile elencare i rischi che le donne corrono. Il film mostra anche, con grande tenerezza, le resistenti maglie di una solidarietà femminile che compensa il vuoto assistenziale di una società profondamente maschilista, una società in cui pratiche arcaiche di menomazione sessuale a danno delle bambine sono all’ordine del giorno, e alle donne non resta che fare quadrato e improvvisare ‘soluzioni fai da te’.
“Una madre, una figlia” è un film da vedere, certi problemi non sono poi così lontani anche da un’occidente civilizzato che sembra voler fare passi indietro sulla libertà delle scelte dell’individuo, scelte insindacabili, comunque la si pensi riguardo certe tematiche che coinvolgono etica e morale, deve rimanere insindacabile la libertà di scelta.
Maria Grazia Bosu
Trama
- Titolo originale: Lingui, les liens sacrés
- Regia: Mhamat-Saleh Haroun
- Cast: Achouackh Abakar Souleymane, Rihane Khalil Alio, Youssouf Djaoro
- Genere: Drammatico
- Durata: 100 minuti
- Produzione: Francia, Paesi Bassi, Germania, Ciad, 2021
- Distribuzione: Academy Two
- Data di uscita: 14 aprile 2022
Il film ”Una madre, una figlia”, diretto da Mhamat-Saleh Haroun, racconta di un’adolescente incinta che non può assumersi la responsabilità delle proprie scelte giacché nel suo paese l’aborto è illegale. Il film è stato premiato come Miglior Film in lingua straniera al National Board 2022 ed è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2021 e nella sezione Fuori concorso/Surprise al Torino Film Festival 2021.
La realtà sociale del Ciad, paese dell’Africa centrale francofona prevalentemente musulmana, è al centro di “Lingui”, nuovo film del regista Mhamat-Saleh Haroun, premiato a Cannes nel 2010 per “Un homme qui crie”. Da sempre a Parigi, il regista è reduce da un’esperienza di un paio d’anni come ministro della cultura, e “Lingui” sembra il suggello di questa esperienza. La pellicola è il racconto, elegante ed istruttivo, della difficoltà della donna in una realtà sociale, che è anche quella della capitale N’Djamena, di vivere in libertà la propria vita.
Una madre, una figlia: la trama
Maria è una ragazza di 15 anni che studia nel liceo della capitale e nel tempo libero aiuta la madre nella creazione di piccoli lavori di artigianato con materiali di recupero. Amina è ancora giovane eppure minuta, mentre la figlia Maria è alta, piena di voglia di vivere la propria età e tutte le difficoltà che ne conseguono. Le due vivono sole, e quando la madre scopre dalla preside che la figlia è rimasta incinta, allontanata dalla scuola perché socialmente inaccettabile, affronta Maria. Anima conosce perfettamente l’angoscia di non essere accettata, lei stessa difatti è rimasta incinta molto giovane e ha vissuto il dramma di un’infanzia solitaria e senza padre.
Trailer