Si è tenuta oggi a Roma la conferenza stampa del film “Una Vita, Une Vie” del regista francese Stéphane Brizé, tratto dal romanzo di Maupassant. Il film verrà distribuito in trenta copie in tutta Italia in versione originale sottotitolata a partire dal 1 giugno 2017.
La fine delle illusioni: il legame tra “Una Vita, Une Vie” e “La legge del mercato”
Un anno dopo l’acclamato “La legge del mercato”, con “Una vita, Une vie” (titolo originale “Une Vie”) Stephane Brizé adatta sullo schermo la storia di Jeanne, raccontata dall’abile penna di Guy de Maupassant nel romanzo omonimo. I due film potrebbero, in apparenza, sembrare molto distanti tra loro – l’uno ambientato nel mondo contemporaneo, caratterizzato dalla spietatezza del mercato e dall’incubo dell’instabilità economica; l’altro calato nell’Ottocento, nel territorio della Normandia aristocratica – ma il regista ci tiene a sottolineare come i due personaggi di Thierry (protagonista de La legge del mercato, interpretato da Vincent Lindon) e di Jeanne (Judit Chemla) abbiano in realtà molto in comune. Entrambi, infatti, guardano alla vita con un atteggiamento idealista e illusorio, legato fortemente ad un’idea molto alta dell’essere umano. Entrambi, infine, vivono sullo schermo proprio il momento decisivo della fine dell’illusione, della sua rottura definitiva. La persuasione di Brizé è che quello che stiamo vivendo oggi sia proprio il periodo storico segnato dalla “fine delle illusioni”: è per questo motivo che, forse inconsapevolmente, si è palesata nel regista l’esigenza di rappresentare tale fine in due film all’apparenza così differenti.
Il regista spiega inoltre come il progetto di “Una vita, une Vie” fosse in cantiere da vent’anni e che la sceneggiatura per il film era stata scritta, in realtà, ancor prima dell’ideazione e della realizzazione de “La legge del mercato”. Ed è proprio grazie a questo film che Brizé ha saputo e potuto fare luce su alcuni aspetti del personaggio di Jeanne e sul trattamento della sceneggiatura, che è stata riscritta subito dopo il montaggio de “La legge del mercato”. Brizé ha deciso infatti di stravolgere l’originaria struttura drammaturgica e narrativa di “Une Vie”, affidando la narrazione interamente al punto di vista della protagonista.
“Una vita, Une vie”: La malinconia
Quando gli viene domandato se prova una certa nostalgia per il passato e per i suoi valori rispetto al presente, il regista risponde di no. Piuttosto, sottolinea Brizé, la parola che gli viene in mente e che caratterizza il suo vissuto è “malinconia”.
La malinconia, infatti, ha per il regista una sfumatura esistenziale particolare, che è presente in tutti i suoi film, vale a dire l’idea che l’uomo abbia tradito qualcosa dei propri sogni originari.
È vero, comunque, che l’epoca di oggi è caratterizzata da una grande brutalità, dal momento che ha reso il lavoro scarso, attribuendo molto potere alla presenza e all’assenza di lavoro.
Il rapporto madre-figlio in “Una vita, Une vie”: il dramma della protezione dal mondo
Per quanto riguarda il rapporto tra Jeanne e il figlio, Brizé afferma che questo aspetto, trattato nel romanzo di Maupassant, lo interessava moltissimo. Di “Une vie” erano già stati fatti due adattamenti in passato, uno televisivo e un film per il cinema. Stranamente però, sottolinea il regista, in entrambi gli adattamenti la narrazione si arrestava alla morte del padre di Jeanne, senza affrontare dunque il nodo cruciale del rapporto drammatico tra Jeanne e il figlio. L’interesse del progetto di Brizé è invece quello di mostrare le conseguenze delle scelte che si fanno nella vita: ciò che commuove personalmente il regista è la constatazione che in questa storia la tragedia nasca proprio nel luogo della bellezza. Jeanne cerca di proteggere il proprio figlio dalla realtà, vuole che cresca in un mondo di ignoranza. È proprio con questo atteggiamento di candore e di protezione che Jeanne crea il dramma: il figlio gliela farà, letteralmente, pagare.
La tragedia della bellezza è incarnata dunque in Jeanne, la quale non ha saputo, non ha potuto e non ha voluto elaborare il lutto della perdita dell’innocenza dell’infanzia, del paradiso perduto dell’infanzia. Jeanne ha mantenuto una visione totalmente idealizzata della vita e dell’uomo anche in età adulta, che fa sì che Jeanne si privi di qualunque tipo di protezione nell’affrontare la vita stessa. È questo che rende, a detta di Brizé, il personaggio di una bellezza struggente: Jeanne è capace solo di vedere la bellezza negli altri e nella vita ma ciò è contemporaneamente molto drammatico.
È in quest’ottica che va colta la frase di chiusura del film e del romanzo, che viene pronunciata dalla domestica: «Vedete signora, la vita non è mai così bella né così brutta come la si immagina». L’intenzione di Brizé era arrivare a questo punto finale, senza tradire l’importanza degli ideali e dei valori di Jeanne.
Il legame con Maupassant e il ruolo della religione
Brizé risponde poi ad una domanda sul suo rapporto con Maupassant, facendo notare che in Francia sia uno degli scrittori più studiati a scuola, soprattutto per quanto concerne i racconti. La lettura di “Une Vie”, invece, è avvenuta quando il regista aveva ormai ventisette anni: leggendo il romanzo, Brizé ha sentito un sentimento di prossimità nei confronti della protagonista, proprio per via della difficoltà di Jeanne a staccarsi dall’infanzia, condividendo empaticamente con lei la difficoltà del divenire adulti.
Oltretutto, l’opera di Maupassant ha il pregio di essere atemporale ed universale: i personaggi sembrano essere completamente scollegati dal contesto e dall’epoca in cui vivono, in quanto vengono mostrati soprattutto nella loro sfera privata. L’intenzione di Stéphane Brizé non era perciò quella di mostrare in generale la condizione della donna nel XIX secolo; anche prendendo atto del fatto che la famiglia di Jeanne fosse molto peculiare e moderna rispetto al codice classico di comportamento del periodo storico (il padre di Jeanne, ad esempio, è un illuminista seguace di Rousseau). Ciò che interessava il regista era piuttosto stabilire una risonanza con la sfera intima di Jeanne.
Gli elementi salienti del romanzo vengono comunque mantenuti nel film, mentre altri aspetti non hanno interessato il regista, come la critica alla nobiltà normanna. È interessante il trattamento dei personaggi dei due curati, che mostrano entrambi come la religione, una volta entrata prepotentemente nelle scelte di una famiglia, porti inevitabilmente al dramma. Le descrizioni dei preti sono molto diverse l’una dall’altra e sono entrambe fondamentali, in quanto danno effettivamente lo spaccato di un’epoca allo spettatore. Brizé non se la sente però di arrischiarsi a parlare delle sue convinzioni religiose proprio nella città sede del Vaticano e glissa sull’approfondimento religioso, confidando però una curiosità alla platea: l’attore che interpreta il secondo curato è un prete anche nella vita reale.
Il realismo della scelta del 4:3 e del suono in Mono
I motivi che hanno condotto il regista alla scelta del formato quasi quadrato del 4:3 e del suono registrato in Mono sono principalmente due. In primo luogo, la scelta del 4:3 permette di orientare lo sguardo dello spettatore e di tradurre visivamente la sensazione di reclusione del personaggio e la sua centralità nella storia. Anche l’idea del suono in modalità Mono rientra nella stessa ottica, poiché, a differenza del sistema Stereo, il Mono permette di concentrare il suono al “centro” del film e di chiuderlo.
I suoni della natura presenti nella pellicola sono più presenti e più ricchi di quanto si avverta nella realtà e ambiscono a tradurre lo stato d’animo di Jeanne, venendo amplificati proprio per dilatare e chiarificare i suoi moti interiori. Se avesse utilizzato la modalità Stereo, infatti, il suono avrebbe avuto una funzione puramente illustrativa e non emotiva e psichica della protagonista.
In secondo luogo, un formato in 16:9 avrebbe tolto al film l’aspetto naturalistico e documentaristico che il regista ricercava, poiché avrebbe fatto rientrare il film nell’alveo e nello scenario proprio dei film d’epoca ambientati nell’Ottocento.
Per lo stesso motivo, Brizé ha combattuto costantemente contro l’idea di un film classico che mostrasse i vestiti ottocenteschi in tutto il loro splendore e in uno stato di immobilità, che crea distanza e irrealtà. Il regista ha voluto infatti sempre “sporcare” i vestiti e le acconciature ed ha lottato strenuamente per evitare l’”effetto quadro”, suggerito di fatto dal formato, a favore piuttosto di un’idea realistica e naturalistica del film.
Il rapporto con il tempo in “Una vita, Une Vie”
Il regista ha voluto infine mettere in risalto un aspetto cruciale del suo film: il rapporto con il tempo. Nel romanzo trent’anni di vita di Jeanne vengono raccontati da Maupassant in maniera cronologica, il che sarebbe stato impossibile da fare in due ore di film. L’uso dell’ellissi viene allora in aiuto del regista: l’ellissi è un “non tempo” nella sua essenza e consente di passare da un anno all’altro e anche a molti anni di distanza nella narrazione all’istante. È uno strumento diametralmente opposto a quello scelto da Maupassant. L’esperienza del “non tempo” del cinema per tradurre il tempo di lettura (che è di circa 20-25 ore) è soprattutto emozionale ed è ciò che interessava al regista.
Per quanto concerne lo scorrere delle stagioni, esso era funzionale a dare il senso dello scorrere del tempo, mostrando gli stessi ambienti nella loro mutazione nel corso del tempo.
L’idea di partenza del regista, emersa durante tutto lo svolgersi della conferenza stampa, è sempre e comunque quella di dare un senso di realtà dell’epoca, filmando i personaggi come avrebbe filmato quelli di oggi, senza guardarli con il filtro dell’iconografia del classico film d’epoca.
Marta Maiorano
31/05/2017