Ci stiamo avvicinando a una data significativa, il 2044, un futuro che, per molti, può apparire distante ma in realtà rappresenta un’ombra della nostra attuale esistenza. Il regista francese Bertrand Bonello, presente in Italia per il festival Efebo d’Oro a Palermo, ci offre un’anticipazione inquietante dei cambiamenti sociali ed emotivi che ci attendono attraverso il suo film “The Beast“, ispirato a una novella di Henry James. In un mondo sempre più dominato da solitudine e disconnessione, Bonello dipinge una società in cui la tecnologia e l’assenza di relazioni umane rispecchiano non solo un’evoluzione architettonica, ma una vera e propria mutazione del nostro essere.
La visione distopica di Bertrand Bonello
Bertrand Bonello propone un 2044 che si distacca nettamente dalle visioni futuristiche tradizionali, ricche di tecnologia e avventura. Attraverso un’estetica basata sulla sottrazione, il regista elimina gli elementi tipici del nostro mondo moderno: auto, schermi e social network, per creare un ambiente che potrebbe risultare semplice, ma in cui il vuoto emotivo si fa pesante. Secondo Bonello, “ciò che resta è il vuoto, la tristezza e la depressione”, creando un contrasto tra una vita che appare semplice e un profondo senso di mancanza di connessione umana. I residenti del 2044, privati di orpelli e distrazioni, si trovano a dover affrontare una realtà che, priva di relazioni significative, sembra impoverita e disumana.
Questa visione ci invita a riflettere su come le nostre attuali abitudini e tecnologie potrebbero condurre a un futuro in cui le persone si sentono più isolate e impotenti. Bonello, attraverso il suo lavoro, suggerisce che le emozioni che definiscono la nostra umanità potrebbero essere le prime vittime di un progresso che cerca di eliminare il “superfluo”. Di fronte a un futuro così inquietante, ci si chiede se la ricerca di una vita “pulita” possa in realtà essere una fuga dalla nostra vera essenza.
La protagonista Gabrielle e il tema dell’anestesia emotiva
Nel cuore di “The Beast” si trova Gabrielle, interpretata dall’attrice Léa Seydoux, la cui storia è profondamente radicata nella paura di perdere la propria umanità. Gabrielle vive in un mondo dove le emozioni possono essere anestetizzate, rendendola capace di affrontare i traumi del passato. Durante un trattamento che promette di cancellare il dolore e le emozioni, Gabrielle è costretta a fare i conti con un dilemma: sacrificare la propria umanità per vivere in una società che preme per la produttività e l’efficienza.
La sua travolgente confessione di “avere paura di non sentire più niente” risuona come un eco di una critica profonda a una società che offre un’opzione rapida per eliminare il dolore, ma a un costo inestimabile: la perdita delle esperienze, della gioia e persino dell’amore. Il film pone interrogativi importanti su ciò che significa essere “vivi” in un mondo privo di emozioni: diventa mai possibile vivere senza il peso del dolore passato? La storia di Gabrielle rappresenta non solo il suo viaggio personale, ma anche un simbolo delle ansie moderne rispetto alla salute mentale e alla ricerca di un senso di autenticità in un panorama emotivo in via di erosione.
L’effetto dell’apocalisse e le paure nazionali
“La bestia” non si limita a sviluppare una narrazione personale, ma si colloca nel contesto di un panorama mondiale in crisi. Bonello accenna a una “catastrofe del 2025”, facendo riferimento a una rete di disastri ecologici e conflitti internazionali, in particolare riguardo alla crescente tensione tra Cina e Taiwan. A questo punto, il film invita gli spettatori a considerare il futuro imminente, plasmato non solo dalle scelte individuali ma anche dalle dinamiche globali.
I ricordi di un cambiamento profondo nel mondo, che si manifesta attraverso eventi catastrofici, rimandano a una disillusione collettiva che spesso accompagna le generazioni attuali. In un’epoca in cui la precarietà e le crisi ambientali sono al centro delle preoccupazioni, le domande che Bonello pone sottolineano una necessità urgente di affrontare il futuro non solo come individui ma come società, impegnata a progettare un mondo non solo abitabile, ma pieno di significato. La narrativa di Bonello potrebbe rappresentare una sorta di avvertimento: come possiamo preservare ciò che rende la vita degna di essere vissuta quando ci troviamo sulla soglia di eventi che potrebbero ridurre la nostra umanità a un mero calcolo utilitaristico?
La rappresentazione femminile e il dialogo sul ‘male gaze’
Infine, una delle scelte più audaci di Bonello è stata quella di mettere Gabrielle e la sua esperienza al centro della narrazione. La decisione di sostituire il protagonista maschile della novella originale di Henry James con un personaggio femminile rappresenta una sfida alle convenzioni e una riflessione sul ruolo della donna nei film contemporanei. Bonello sottolinea l’importanza della rappresentazione femminile in un contesto di crescente attenzione alle dinamiche di genere nel cinema.
Attraverso questo approccio, il regista evidenzia le complessità della rappresentazione femminile di fronte all’osservazione maschile, portando a galla il dibattito sulla legittimità degli sguardi e sulla necessità di riconoscere e ampliare le narrazioni delle donne. Mentre il mondo del cinema si confronta con le critiche e le evoluzioni post-#MeToo, Bonello sembra impegnato a conciliare il suo desiderio di raccontare storie femminili con una consapevolezza critica delle responsabilità che accompagnano la narrazione. La sua opera si posiziona così come un tentativo di esplorare le relazioni tra l’uomo e la donna e, più in generale, come far emergere una sensibilità nuova che sfida le convenzioni tradizionali del racconto cinematografico.
Bertrand Bonello, con “The Beast“, riesce a interpellare in modo magistrale le ansie e le aspirazioni dell’umanità contemporanea, offrendo uno specchio nel quale potremo riflettere sul nostro rapporto con il futuro.