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Unorthodox – Recensione

Prima serie Netflix recitata quasi interamente in yiddish, “Unorthodox” segue le vicende di una ragazza che decide di andar via da una comunità religiosa che la costringe a reprimere i suoi desideri per rinchiuderla entro ruoli prestabili.

Unorthodox: Un’identità che può trasformarsi in una prigione

Unorthodox Netflix

Unorthodox – Recensione

Esty è una diciannovenne che vive a New York, ma la sua vita è molto diversa da quella delle altre ragazze della sua età. La giovane infatti è cresciuta a Williamsburg all’interno della comunità chassidica, una frangia della religione ebraica particolarmente legata alle tradizioni e a una visione teocentrica dell’esistenza.

Soffocata da una vita matrimoniale che non le dà la felicità che le era stata promessa, Esty decide di fuggire e andare a Berlino, dove la madre si era trasferita quando lei era ancora una bambina. Così dopo tanto tempo passato a condannare la scelta del genitore di averla abbandonata, Esty comincia a capire ciò che l’ha spinta a un simile gesto e pensa di poter trovare in lei un appiglio per cambiare vita. Le cose però non vanno come sperato e la giovane si trova da sola in una società completamente estranea, soprattutto per una ragazza come lei non abituata all’ambiente fuori dalla sua comunità religiosa. A salvarla sarà la passione per la musica, coltivata in segreto per anni, che le permette di fare amicizia con un gruppo di giovani che frequentano una prestigiosa accademia.

Nel frattempo il marito, accompagnato da un cugino che deve redimersi dopo aver lasciato lui stesso la comunità qualche tempo prima, si mette alla ricerca di Esty per riportarla a casa.

Il peso soffocante delle aspettative

Unorthodox Shira Haas

Ispirata a un’autobiografia, “Unorthodox” racconta una parte dell’Occidente sconosciuta ai più. Non si tratta di un Paese lontano, in cui vigono stili di vita completamente diversi dai nostri, ma di una comunità che si è costruita un piccolo mondo all’interno degli Stati Uniti.

A unire questo gruppo di persone è il senso di responsabilità. Dopo la morte di 6 milioni di ebrei durante l’Olocausto, infatti, è considerato dovere delle nuove generazioni mettere al mondo più bambini possibili per far rinascere la comunità. Inoltre, il mischiarsi a persone non appartenenti al proprio gruppo religioso viene considerato uno degli errori che hanno scatenato la punizione di Dio tramite il genocidio. Ne deriva l’autoisolamento e l’ossessione per le tradizioni come strumento per difendersi e proteggere la propria identità, precedentemente causa di discriminazioni e odio.

Non esiste privacy, gli ebrei chassidici vivono come in una grande famiglia. Quest’ultimo elemento in una società individualista come quella americana rappresenta sicuramente un’eccezione positiva, poiché dà la sensazione di sentirsi al sicuro. Ma questa protezione si trasforma in una forma di controllo soffocante.

“Unorthodox” racconta una storia intensa, soprattutto nelle parti ambientate all’interno della comunità ebraica ortodossa, che lascia sconcertati per quanto sia chiusa rispetto alla modernità, essendo rimasta ancorata a una visione dell’esistenza che sembrava ormai superata in alcune parti del mondo. Proprio questa precisione nella ricostruzione della vita a Williamsburg, cozza con il modo un po’ edulcorato con cui viene raccontato come Esty riesca a inserirsi in un ambiente così diverso con una certa facilità. Quattro episodi infatti risultano pochi per rappresentare un cambiamento così radicale, e anche l’happy ending calca un po’ troppo la mano.

Una ragazza alla ricerca di se stessa

Unorthodox serie tv

Oltre alla notevole interpretazione della giovane protagonista, Shira Haas, altra nota positiva è la caratterizzazione dell’altrettanto giovane marito. Quest’ultimo non viene rappresentato come un uomo violento o cattivo, ma infantile, completamente dipendente dalla madre e ossequioso nei confronti dei precetti religiosi. Al contrario di lei, che sente di essere diversa e si pone domande, chiedendosi il perché di ciò che fa e proprio per questo non riuscendo ad accettare passivamente la vita che gli altri hanno scelto al posto suo. Queste aspettative gravano sia sulle donne che sugli uomini, ma quest’ultimi sono comunque privilegiati da una società di tipo patriarcale. Una ragazza invece è costretta a rinunciare a qualsiasi passione e concentrarsi unicamente a metter su famiglia, perché soltanto attraverso i figli può ottenere rispetto e potere. La sua identità come individuo viene cancellata, appartiene alla comunità.

Si tratta di una vera e propria prigione, innanzitutto mentale. Per convincere i membri a non andar via, viene instillata la paura di non riuscire a farcela all’esterno e la società è organizzata in modo tale che anche coloro che hanno il coraggio di liberarsi, si ritrovano completamente isolati e senza competenze per inserirsi nel mondo del lavoro, così da rimpiangere la vita precedente e ritornare alla grande famiglia che è la comunità.

Quello rappresentato da “Unorthodox” è un mondo dove non esiste internet perché non si fanno domande. A tal proposito è molto significativa la scena in cui alla protagonista viene spiegato come utilizzare Google, e quando le viene detto che può chiedere qualsiasi cosa, ma si rende conto che le risposte date sono tante e deve essere lei a decidere quale scegliere, la cosa la lascia perplessa e in difficoltà. Non è stata abituata a ragionare in questo modo.

La fuga in Germania permette a Esty di spogliarsi di tutte quelle paure e convinzioni opprimenti. Così se i suoi nonni erano stati costretti a fuggire da quel Paese, è invece proprio lì che la giovane ritorna per trovare il suo posto nel mondo che non sia soltanto quello di moglie e madre.

Maria Concetta Fontana

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