P.T. Anderson colpisce ancora nel segno con un thriller postmoderno ambientato nella California di fine anni Sessanta
(Inherent Vice) Regia: Paul Thomas Anderson – Cast: Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Eric Roberts, Josh Brolin, Benicio Del Toro, Reese Witherspoon, Jena Malone, Owen Wilson, Martin Donovan, Sasha Pieterse, Martin Short, Joanna Newsom, Jillian Bell, Maya Rudolph, Wilson Bethel, Anders Holm, Yvette Yates, Elaine Tan, Thomas Pynchon– Genere: Thriller, colore, 148 minuti – Produzione: USA, 2014 – Distribuzione: Warner Bros Italia – Data di uscita: 26 febbraio 2015.
L’incedere lacunoso ed epifanico del viaggio mentale detta il ritmo narrativo di “Vizio di forma”, l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, scritta e lavorata a partire dal romanzo omonimo di Thomas Pynchon. Il viaggio mentale è quello condotto dalla marijuana fumata continuamente dal protagonista, lo stravagante investigatore privato Larry “Doc” Sportello – un’altra meravigliosa interpretazione fornita da un Joaquin Phoenix entrato ormai di diritto nel gotha del panorama attoriale statunitense.
Una visita inaspettata della ex compagna pone una questione estremamente intricata sul tavolo da lavoro di Doc: il ricco imprenditore edile Wolfmann, al quale la donna è ora legata sentimentalmente, rischia di essere internato in seguito alle macchinazioni della moglie e dell’amante di quest’ultima; più o meno in contemporanea, il detective accetta il caso di un uomo scomparso nel nulla, nella fattispecie Glen Charlock, la guardia del corpo dello stesso Wolfmann.
Alle prese con questo insidioso binomio, il detective si trova ad affrontare una serie di situazioni confuse e indecifrabili, alternativamente spinte al limite del collasso e sollevate in una prospettiva onirica sempre accentuata dall’assunzione imperterrita di sostanze stupefacenti: ci finiscono dentro un misterioso circolo di contrabbando di droga, uno strozzino nazista col suo scagnozzo e un musicista costretto a fingersi morto per poter svolgere lavoro di spionaggio. A complicare ancora le cose l’ambiguo rapporto con il poliziotto “Bigfoot” Bjornsen – figura controversa, fragile e allo stesso tempo in preda a raptus di volontà di potenza – che tenta di usare la collaborazione con Doc per vendicare la morte del suo vecchio partner.
L’evolversi della trama è convulso, disinibito, scosso da una serie continua di scarti, rotture, depistaggi: il racconto complesso fa da filtro a un contesto confusionario e delirante, quello della California di fine anni Sessanta, in cui tutto sembra poter succedere, tra deformazione surreale e richiamo alle piste investigative sempre traballanti eppure costantemente in gioco. Ed è proprio l’emergere di questo contesto, più che la consequenzialità puramente narrativa, a fare la differenza: ciò che ne esce è una decostruzione in pieno stile postmoderno di un genere a metà tra il thriller e il noir.
I personaggi sono estremi, contraddittori, in preda a conflittualità malcelate e anzi piuttosto esibite; non ce n’è uno che non deroghi dalla norma. P.T. Anderson conferma anche in questa occasione la maestria consueta nel tratteggio di fisionomie debordanti e caratteri esasperati, con un gioco estremo ed estremizzato di primi e primissimi piani, spesso collocati in interni esercitanti una pressione claustrofobica che contiene a fatica l’impeto della scena, per poi rendere ancora più netta e incisiva la successiva deflagrazione.
“Vizio di forma” è un altro tassello importante nell’opera del regista californiano, capace ancora una volta di improntare marcatamente il suo lavoro sulla spinta di un forte piglio autoriale e di rendere l’esito sempre problematico e mai consolatorio, animato da interrogativi e contraddizioni: ciò che lo inserisce a pieno nel solco di una tradizione narrativa radicalmente moderna – comprensiva parzialmente della deriva postmoderna – che trova il suo referente in un certo sviluppo della letteratura americana al quale lo stesso Pynchon, qui assunto da base esplicita, ha avuto modo di contribuire.
Marco Donati