Recensione
Willow: la personificazione del dolore, dell’impegno e del lutto
Tre donne, tre eroine, due epoche diverse unite nel dolore, nella sofferenza e nella scelta, in un simbolico passaggio segnato dalle foglie piangenti di un salice, simbolo di vita ma anche di morte, un albero che si piega, ma non si spezza. Tre storie collegate tra loro da un denominatore comune: i figli e il dono di essere madre. Una destrutturazione temporale che nasce in una Macedonia del Nord arcaica e pastorale, segnata dalle credenze e dalla religione e si conclude nell’Ungheria dei giorni d’oggi, tra progresso e solitudine.
La difesa della donna e del suo diritto di essere madre sono i leit motiv di “Willow”.
Il primo racconto, ambientato in Macedonia, la terra del regista, è denso di poesia e di suggestioni cromatiche, pregne di una desaturazione importante e della profondità del buio che nasconde ma divide, un racconto interiore dominato dal valore delle tradizioni e delle comunità e dagli eventi che si susseguono in maniera inarrestabile, anche se lenta e inesorabile.
Una narrazione fortemente carica di significato, per una pellicola complessa che ha il suo fil rouge nel salice, simbolo della forza e della genesi e intrecciata a tematiche mistico/religiose che rendono l’atmosfera caratterizzata da un pathos quasi tangibile, che ricorda Bergman e Tarkovskij.
Willow: la forza di un esile ramo, che sussulta ma non cede mai
Un ritratto che ha le caratteristiche della fiaba, ma esposta con un crudo realismo, dai dettagli fortemente connotati, dalle asperità pastorali al caos urbano e con l’amore che domina su tutto. Un impianto narrativo articolato e originale, che dal Medioevo all’era moderna mostra la forza di una donna, il suo desiderio di diventare madre a qualunque costo, perchè un figlio, naturale o adottato, è sempre un figlio.
Un racconto che narra la vita, attraverso il riflesso di una società e dentro il cuore di una donna, che vuole essere madre sopra ogni cosa e con qualunque mezzo, parto naturale, fecondazione assistita, interruzione di gravidanza o adozione. Oggetti totemici che passano attraverso le tre donne a simboleggiare la “maternità”, che rimane immutata nel tempo e nelle epoche, come le maledizioni ed i rituali. Un ritratto struggente ed emozionante, leggero come la foglia di un salice ma profondo come le sue radici, che scavano nel desiderio e nelle sue complessità, ma nonostante lo scorrere del tempo non sciolgono i nodi e le enormi difficoltà dell’essere madre. “Mamma, la parola più bella sulle labbra dell’umanità” (Khalil Gibran)
Chiaretta Migliani Cavina
Trama
- Regia: Milcho Manchevski
- Cast Sara Klimoska, Natalija Teodosieva, Kamka
Tocinovski, Nikola Risteski, Nenad Nacev, Petar
Caranovic, Ratka Radmanovic, Petar Mircevski - Genere: Drammatico, colore
- Durata: 101 minuti
- Produzione: Macedonia del Nord, Ungheria, Belgio, Albania, 2019
“Willow” è un film diretto da Milcho Manchevski, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2019 in Selezione Ufficiale.
Willow: il dolore e l’amore della maternità
Tre eroine particolari protagoniste di tre storie, ambientate in epoche diverse.
In Macedonia, una coppia che non riesce ad avere figli decide di farsi aiutare da un’anziana, accettando il terribile patto di lasciargli il primogenito.
Anche Rodna e suo marito non possono avere bambini. Quando decidono di affidarsi alla fecondazione in vitro, devono affrontare una scelta difficile.
La sorella di Rodna vive il suo dramma con un un bambino di cinque anni da lei adottato, molto intelligente, ma privo di parola. La situazione si complica quando la donna scopre che il piccolo è sparito.